In un mondo in cui lo smartphone non esiste e internet non è ancora entrato nelle case degli italiani, prima dell’avvento delle dirette delle pay-tv, gli highlights degli incontri calcistici passano in televisione soltanto alla sera. Durante gli incontri ci si aggrappa alla radiolina, le cui voci gracchianti raccontano le partite: e gran parte degli italiani è tutta lì, compressa attorno a quei rudimentali apparecchi, con l’orecchio teso, ad attendere la stessa notizia, che può esprimersi in forma diversa senza mutare la sostanza: “Gol di Baggio, Baggio ha segnato, magia di Roberto Baggio“.
I giovani d’oggi troverebbero una vita simile la punizione di qualche Dio estremamente cinico, loro che sono abituati ad aprire Youtube per cercare le skills, come si chiamano ora, persino di una giovane promessa dei campionati giovanili.
Eppure quel mondo è esistito davvero, e quelli della mia generazione lo hanno attraversato, volenti o meno. L’unica via per godere delle gesta di un fuoriclasse era aspettare ore infinite e nel frattempo sognare, immaginare la meraviglia dei suoi gol con la banda più potente di tutte: la mente.
Ma che fortuna abbiamo avuto, alzi la mano chi è convinto del contrario! Stimolare l’immaginazione nell’attesa di poterla confrontare con l’ennesimo capolavoro, e allo stesso tempo convertirla in emozione, proprio come si fa con l’arte. Ogni domenica la solita meravigliosa routine.
Cosa è stato Baggio
Roberto Baggio non è stato il più grande calciatore della storia, né il più vincente. Con ogni probabilità nemmeno il più forte.
Roberto Baggio è stato molto di più: la diversità in un’epoca in cui non se ne sentiva parlare, l’equivoco tattico di allenatori inconsciamente in crisi di identità, l’imperfezione fisica di un ginocchio esploso a 18 anni che lo costringerà a giocare un’intera carriera menomato, la resilienza quando ancora questo termine doveva essere sdoganato.
Roberto Baggio è stato l’estro nell’accezione più pura, la fantasia che non può essere imprigionata negli schemi, la giocata geniale talmente naturale da diventare ordinaria, in un ordinario negato a quasi tutti gli altri.
Lo straordinario, nella parabola umana del Divin Codino, è l’essere riuscito in ciò in cui tutti falliscono, dalla politica allo sport stesso: unire la gente. Baggio, sia per i suoi trascorsi con numerose squadre sia per il rapporto tormentato con la maglia della Nazionale, ma soprattutto per la spontaneità di un personaggio privo di qualsiasi sovrastruttura, ha conquistato i cuori dei tifosi di ogni colore e di ogni età.
Jorge Valdano, grande bomber e poeta, un giorno scrisse una frase di una semplicità disarmante, matematicamente vera: “Chi ama il calcio, ama Baggio“. Poche parole, nessuna iperbole, la pura verità.
Noi tutti ci siamo abbracciati a Roberto Baggio come bambini al ventre materno. Perché, semplicemente, non se ne poteva fare a meno.
Il dono della Bellezza
Il fuoriclasse di Caldogno ci ha fatto dono di qualcosa che non ha prezzo, l’unico carburante di cui non dovremmo mai fare a meno: la Bellezza. La potevi trovare nelle sue giocate, nella leggerezza con cui sgusciava tra i difensori, nel colpo di biliardo o nella parabola imprendibile per i portieri. Ed era lì, identica, nei suoi sorrisi, in quegli occhi in cui non leggevi mai odio o risentimento, nella correttezza in campo e nella gentilezza verso gli altri.
Non serve nemmeno snocciolare numeri e statistiche sui gol realizzati, le maglie vestite, i trofei alzati. Chi ama Baggio conosce ogni istante della sua carriera a memoria e oggigiorno, per fortuna, lo può riammirare con facilità quando lo desidera.
L’aspetto più affascinante della vicenda è un altro: l’amore traversale nei suoi confronti. Di noi che abbiamo attraversato la sua epoca, che c’eravamo quando scartava mezza Cecoslovacchia, quando in un colpo solo stoppava il pallone, saltava Van de Sar e segnava, ma anche quando accarezzava le nuvole di Pasadena dal dischetto.
E di tutti quelli che sono venuti al mondo dopo e che oggi lo venerano come un’entità quasi astratta, il campione etereo in grado di accendere la loro immaginazione. Del resto non fu lo stesso per noi con Johan Crujiff o George Best? La differanza sta in una connessione internet e nell’accesso libero e senza limiti a tutti i loro gol.
Quando nei giorni scorsi ho visto Roberto Baggio fare capolino sui social, mi è scappato un mezzo sorriso. Qualcuno ha commentato “finalmente!”, ma la considerazione che mi viene spontanea è che non ce n’era bisogno. Infatti, più che il desiderio di Roberto, lo sbarco su Instagram è un’idea della figlia Valentina, che di mestiere fa la social media manager.
L’aspetto più straordinario della parabola umana del Divin Codino – oltre ad avere dispensato emozioni, Bellezza e avere unito tutti – è il non essersene mai andato. A vent’anni di distanza dal ritiro dal calcio giocato, lui è qui, nelle nostre menti. Baggio avrà per sempre l’età del calciatore che regala un’emozione fortissima e ti spinge a guardare una sua partita, è il sorriso e un brivido di piacere ogni volta che ci ripensi, è la prima fidanzata o fidanzato di cui non ci scorda mai, l’amico che non ti ha mai tradito.
Questo patrimonio inestimabile non serve averlo nella tasca, in uno smartphone; è già dove deve essere, nella testa e nel cuore, e lì ci accompagnerà per sempre. Perché chi ama il calcio, ama Baggio.