C’è un momento che adoro nella mia vita attuale, ed è quello che precede un nuovo laboratorio: la lieve ansia da prestazione che mi coglie al momento di entrare in studio, l’adrenalina a mille, la curiosità nel conoscere persone che non ho mai incontrato (o quasi), come accaduto giovedì scorso in occasione dell’Open night di Creatività scrittoriale.
Un pubblico interamente femminile, nove anime tanto diverse fra loro quanto allo stesso modo sensibili. Non so mai dove andrà a parare la serata, per quanto ne abbia le redini in mano, ma ogni volta rimango stupito delle direzioni.
Una sola parola può racchiudere il tutto: bellezza.
È bellissimo scoprire, minuto dopo minuto, un centimetro quadro dei partecipanti, lasciare che raccontino un frammento di sé, della propria quotidianità, di relazioni o dell’attività lavorativa, di fallimenti e conquiste. È una sorpresa, un arricchimento umano che farebbe gola a qualsiasi (aspirante) scrittore. E me lo godo io, che scrittore certo non sono.
Un’altra parola emerge con vigore dalle serate: empatia. In un fazzoletto di tempo, tra me e i partecipanti, viene a crearsi un contatto che consente loro di raccontarsi in profondità. Cerco di mettere a proprio agio chi viene in studio e ciò che ottengo in cambio è fiducia totale. Spettacolare.
Lacrime double face
La Open night di giovedì è stata esemplare da questo punto di vista: alcune donne hanno pianto, ma si è anche riso a crepapelle. L’alternanza di momenti di grande introspezione ad altri di ilarità massima, ormai è chiaro, rappresenta un punto di forza della struttura di laboratorio proposta.
Molti possono pensare che la Creatività scrittoriale sia soltanto un “gioco”, che si tratti di banali esercizi o di qualcosa di “scolastico”. Niente affatto.
I partecipanti sono spesso chiamati a scavare in profondità nel proprio vissuto. E i risultati sono sorprendenti. Ricevo persone inviate da psicologhe, alcune da assistenti sociali. La voce si sparge e l’esperienza viene vista come “propedeutica” per chi sta affrontando un periodo particolare della propria vita. Non potrebbe esserci gratificazione migliore di sentirmi utile e poter infondere un po’ di autostima attraverso la scrittura. Forse persino conoscersi un po’ meglio. Empatizzare con se stessi ancora prima che con gli altri è l’obiettivo numero uno.
Una delle partecipanti, durante il laboratorio di giovedì, mi ha totalmente spiazzato: “Creatività scrittoriale non rende bene l’idea di ciò che proponi: è molto più intensa”.
Provo a spiegarla, ma la cosa migliore resta sperimentarla di persona. Mi piace pensare che questa esperienza vada vissuta almeno una volta nella vita. Forse è un filo presuntuosa come considerazione, ma che ci volete fare: io me le godo tutte e sono felice.